"Io... Donna... Immigrata... Volere Dire Scrivere" di Valentina Acava Mmaka


"Scrivo per non sentirmi estranea ma semplicemente straniera; scrivo per voi, per riconoscervi nella mia diversità."

Si susseguono su un palcoscenico quasi spoglio tre figure femminili, le cui storie nel breve testo di Valentina Acava Mmaka rappresentano un elogio alla virtù della parola.
La lingua è un impaccio per Drasla, la cui incapacità di masticare con scioltezza i “ciottoli” di una grammatica astrusa la induce a usufruire di ben altre leggi, quelle di un corpo che muto si concede ai fari delle auto, poiché le parole altrui l'hanno ingannata, vendendole un sogno per una realtà.
Poi c'è una lingua costellata di ripetizioni, di miti cenni del capo, la filastrocca dell'obbedienza che lega Alina ai suoi padroni; il lessico della subordinazione si insinua nell'animo di quanti lo abitano, e li scolpisce finché la definizione non calza, finché il ruolo non sostituisce il nome.
Solo la terza voce sa espugnare l'universo dell'espressione: Farida libera se stessa e le sue compagne grazie al pieno possesso della lingua, ne fa strumento creativo, e lo emancipa dalla sola facoltà discriminante. Ella riesce a tradurre in inchiostro le tiepide luci delle storie altrui e la propria, e imprimendole sulla carta dona loro nuova vita, affrancandole dal dolore dell'esistenza attraverso la poesia e la condivisione. Solo in questo modo diventa possibile ripercorrere all'indietro i passi dell'alienazione, chiaramente espressi dal titolo, accostando il rassicurante miraggio del prossimo ritorno al faticoso ma necessario recupero della propria identità: immigrata, donna, e finalmente “io”.

Autore: Valentina Acava Mmaka
Anno: 2004
Edito da: EMI


Recensione di Serena D'Angelo
(serenadangelo93@gmail.com)